Nell’Italia smarrita tra i Monti, lo spariglio di un Lombardo che molla in Sicilia
VITO BARRESI - Ma che sta succedendo dall'altra parte dello Stretto, dove nella sulfurea calicola di luglio è calato il sipario sul governo regionale della Sicilia? Forse che l’Isola che non ha avuto il proprio Ponte si è infilata a incastro proprio nel bel mezzo di quel tunnel buio in cui si trova il governo Monti? Facciamo un pò il riassunto delle puntate precedenti.
Il Presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo, con un colpo di teatro degno della migliore opera melodrammatica, si è dimesso. Chi ha tempo e interesse ad ascoltare i ventidue minuti della sua orazione ciceroniana potrebbe dire che la sua uscita è ben solfeggiata da ampi ritornelli di riserva politica e altrettanti, sterminati stacchi, di pregiudizio ideologico. Ma attenzione a sottovalutare quanto sta avvenendo in Sicilia, magari a giocare sopra al non senso delle parole, a quel curioso paradosso linguistico di un Lombardo che lascia la Sicilia.
Attenzione perchè questa volta non ci sono stati nè baci nè bicchierate, nè folklore di pupi nè processioni granguignolesche. La Sicilia che si è vista è quella della scena vuota della politica italiana, un ritorno veristico, in qualche modo verghiano, a un luogo ben connotato nella memoria politica nazionale, isola offesa ma ancora intrisa di orgoglio. Insomma l’inconscio archetipo dei misteri italiani, un’Irlanda del Mediterraneo. D’altra parte il cartellone siciliano è sempre gravido di una nuova drammatizzazione della perenne Cavalleria Rusticana con l’Italia.
Perchè Sicilia è sempre stata il segno di una politica che ha regalato fortune e costruito destini di tanti governi del paese, in ogni regime, monarchico e repubblicano, dittatoriale e democratico, dalla destra alla sinistra, dal centro al berlusconismo. Tanto ormai, giunti a questo punto di non ritorno della saga italiana della seconda repubblica, che costerebbe allungare la volata di un passo, rispetto agli annaspanti Monti e Napolitano, la cui ‘coercitive persuasion’ è ormai in boccheggiante debito d’ossigeno?
Così che Lombardo, dopo aver verificato e soppesato il catastrofico impatto negativo del governo tecnico, ironizzando sulla ‘spendig rewiew’, ha sferrato l’attacco, scandendo il capo d’accusa nei confronti dei vertici politici romani, imputati di aver umiliato il valore sacro dell’autonomia dei siciliani, umiliandola e riducendola a brandelli, sia con la proscrizione fiscale che con la leva obbligatoria dei tagli alle finanze locali. Così l’assunto del presidente della Regione, per quanto incline all’ornato barocco catanese, si è fatto più chiaro e incisivo, politicamente più performante e comunicativo: l’autonomia regionale, l’autonomia speciale a protezione costituzionale dei siciliani, non può essere da alcuno nè monetizzata nè fiscalizzata. Tanto meno questo è consentito a un capo del governo che non ha neanche la legittimazione del voto sovrano ma soltanto una storia affine a quella dei cosiddetti fondi sovrani. Se così è (se vi pare) quali sarebbero, all’abbrivio finale, gli ostacoli, anche giuridici e istituzionali, che dovrebbero ostacolare la disdetta della clausola fondamentale dell’unità nazionale?
Lo scioglimento dell’Assemblea Regionale Siciliani rischia, in poco meno di nove settimane e mezzo, di trasformarsi in una corda pazza che si può spezzare in faccia alle forze politiche dell’arco montiano, tanto da far profetizzare Lombardo, la sua previsione con sentore di vaticinio: “se continuano a dirci che siamo brutti, sporchi e cattivi, che abbiamo i conti in disordine, che spendiamo male, che siamo un peso,che ci stiamo a fare insieme in Italia? Tanto vale che ci si separi consensualmente».
Quanto poi sia credibile, affidabile e sostenibile una Sicilia antitaliana è tutto da vedere. Per intanto quel che serve adesso, una volta che con lo scioglimento dell’assemblea regionale sì è preso solennemente atto che lo spirito pattizio con lo stato si è dissolto e ‘che questo spirito è sfumato, come dimostra anche la vicenda del commissario dello Stato che non ha mai impugnato le leggi dello Stato ma è messo lì a vigilare sulle nostre cose e nient'altro», è accelerare il processo di decomposizione delle vecchie basi morali e politiche, sgombrare al più presto il campo da quelle stesse alleanze anomale e delegittimate che ancora ‘sgovernano’ l’intero Paese. Così la Sicilia, come tante volte nella storia dei 150 anni dello Stato Unitario, diventa il test primario, il possibile segnalibro di un cambio di epoca politica, l’immagine in divenire dei nuovi assetti del potere politico parlamentare nella vita nazionale. I siciliani non sono un popolo qualunque. Forse loro, più degli altri sud, sanno bene cos'è la politica, una nessuna e centomila, specie quella di Roma e Milano, conoscono a fondo gli anfratti oscuri di tante verità negate, le trame di inconfessabili segreti di Stato, gli intrecci perversi tra crimine e politica. Ecco perchè l'ultimo atto del Presidente della Regione Siciliana Lombardo non è un semplice discorso di ordinaria amministrazione, un addio retorico e paternalista, quanto invece un passaggio strategico messo proprio in mezzo al tunnel in cui si trova il fragile governo Monti.
Lombardo, e non il Presidente Napolitano, ha deciso che in Sicilia si voterà il 28 e il 29 ottobre, molto prima che nel resto d'Italia. Non si tratta di un voto scollegato dal resto del sistema italiano ma di una prova, il cui risultato peserà e inciderà direttamente sull'andamento della prossima campagna elettorale e sull'esito delle elezioni nazionali del 2013. Insomma un dato elettorale che, oltre le videate delle tv, sarà il primo, indiscutibile, ‘exit poll’, messo a disposizione degli addetti ai lavori che manovrano attorno all’orientamento elettorale. Insomma un bel modellino in ‘power-point’ per le analisi dei sondaggisti. Una vera e propria proiezione in tempo reale, qualitativamente utile per capire in anticipo quel che accadrà in questo complicato e difficile paese, più sparigliato e smarrito che mai.
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