Dio salvi la Sicilia. Da se stessa prima che dai suoi nemici. Se il passato lascia con l’amaro in bocca, il presente è un tormento e il futuro fosco, opaco, inquietante, indefinibile. L’Assemblea regionale fotografa questa condizione in modo perfetto: accentua i contrasti, la definizione dei conflitti, il livello d’intollerabilità. Il masochismo mascherato da furbizie, la tutela dei privilegi mascherata da battaglia di principio, gli interessi privati da bene pubblico, l’arte di arrangiarsi in buona politica.

 Non è facile capire, distinguere, trovare il bandolo: un melting pot indecente che non consente ai siciliani alcuna possibilità di giudicare, perché la confusione è enorme. L’ambiguità protegge le malandrinate. C’è chi sostiene che la Sicilia rappresenti il medio evo al tempo di internet, sia la prova della sua sopravvivenza a dispetto di ogni innovazione, tecnologia avanzata, cultura della modernità, civiltà giuridica. Immobilità e masochismo, arretratezza e diligente conservazione delle proprie prerogative, del piccolo benessere. Nessuno sguardo al futuro, al domani prossimo e incombente.
 In questo contesto limaccioso ed infelice promuovere risparmi e una revisione saggia della spesa, diventa una battaglia contro i mulini a vento. Chi scende in campo con queste intenzioni fa di Don Chisciotte un realista lucido ed un calcolatore tenace e illuminato.
 L’Assemblea regionale siciliana non si è mai misurata con questi problemi: sa spendere, non sa risparmiare. Non c’è mai riuscita. Qualche volta limita i danni, qualche altra sprofonda nell’abominio. E questi sono i giorni peggiori per confidare nella palingenesi. Il governo non ha la maggioranza in Aula e le elezioni regionali sono alle porte, alle buone pratiche viene a mancare il terreno sotto i piedi.
L’assessore all’economia Gaetano Armao ha dovuto mettere da parte uno dei cardini della proposta legislativa sulla spending review, la razionalizzazione del personale regionale con il recepimento dei tagli romani, molto addolcito e senza traumi (niente licenziamenti). Ciò che a Palazzo Madama, il Senato,  è stato accettato, seppure ob torto collo, in Sicilia, stando ai sindacati autonomi diventa “un tentativo demagogico di realizzare uno scoop pre-elettorale sulla pelle dei lavoratori”. I permessi sindacali dieci volte più generosi nell’Isola, rispetto alla media nazionale intanto restano in cassaforte.
 Sono state approvate leggine leggere e, questo sì, di dubbia efficacia (introduzione dei garanti per l’infanzia e la disabilità, istituzione dell’albo delle società di mutuo soccorso) mentre si cercano i soldi per pagare i precari e fare funzionare i dissalatori fino alla fine dell’anno.
 A poche ore dall’approvazione della legge blocca-nomine, il Parlamento regionale si è fermato per alcune nomine proposte dal governo e approvate, senza maggioranza dei presenti, in Commissione legislativa. Entro pochi mesi, con il nuovo governo, grazie alle norme appena approvate, avrebbero potuto essere annullate senza problemi.
 I provvedimenti di maggior impegno, invece, restano al palo. Coloro che hanno gridato al default, preoccupatissimi dei conti in rosso, sono scomparsi.