Avrebbe abusato della nipote disabile per anni, anche trascinandola con la forza sotto il letto, toccandola, minacciandola e obbligandola a sottostare ai suoi desideri, approfittando del ritardo mentale di cui la ragazza è affetta. La seconda sezione del tribunale di Palermo (collegio presieduto da Pasqua Seminara) ha deciso di condannare con il rito abbreviato a sei anni di reclusione uno zio della vittima, accusato di violenza sessuale. I giudici hanno integralmente accolto la richiesta di condanna avanzata dal pm Alessia Sinatra, che aveva coordinato l’inchiesta.
La vicenda era venuta alla luce nel 2004 e si sviluppa a Bagheria, in un contesto famigliare molto complesso. La ragazza aveva allora 21 anni, ma per via dei suoi problemi di salute, era fragile ed ingenua come una bimba di 10 anni. Per i disturbi psicologici di cui è affetta anche la madre, ad un certo punto la ragazza viene affidata alla nonna. Ed è proprio in casa di quest’ultima che sarebbe stata violentata dallo zio, che per un periodo conviveva con lei. Per anni, l’uomo, che oggi ha 40 anni, l’avrebbe minacciata ed anche picchiata, sottoponendola ad ogni sorta di abuso. E, come è emerso dalle indagini, non sarebbe stato l’unico: un altro zio della giovane, infatti, l’avrebbe violentata, ma è stato prosciolto perché ritenuto incapace di intendere e di volere.
La giovane, dopo anni di abusi e maltrattamenti, decide di scappare da quella casa. Ma sulle sue tracce si era subito messo lo zio che, per strada, sotto lo sguardo di alcuni testimoni che avevano chiamato la polizia, aveva tentato con le buone e con le cattive di farla tornare a casa. Dopo l’intervento della polizia, la ragazza aveva raccontato delle terribili violenze subite ed era stata avviata l’inchiesta. Nonostante il suo deficit mentale era stata ritenuta credibile ed attendibile, grazie ad una consulenza disposta dalla Procura.
Il tribunale ha poi disposto, come richiesto dalla difesa dell’imputato, una nuova perizia. Questa volta, la ragazza è stata ritenuta incapace di testimoniare e di partecipare al processo, pur avendo riferito lo stesso racconto. La sua infermità non ha impedito ai giudici – così come chiesto dal pm – di ritenerla comunque credibile. Da qui la condanna per lo zio.