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Gorgonzola di capra: frode e condanna

LONGARONE. Non è un problema di goccia: il gorgonzola a denominazione di origine protetta non può essere prodotto e commercializzato con latte misto di capra. Soltanto vaccino. È per questa frode in commercio che il cinquantaduenne torinese Giuseppe Galetta, titolare dell’azienda Beppe Crin è stato condannato dal giudice Antonella Coniglio a 6 mesi di reclusione, più 6 mila euro di multa e le spese processuali, con tutti i benefici. A cominciare dalla condizionale. Meno di tre anni fa, l’uomo aveva partecipato alla rassegna Sapori Italiani, a Longarone Fiere.

L’ispettore della Forestale, Luigino Castellaz ha raccontato che sul bancone erano esposti tre tipi di formaggio di questa particolare qualità protetta da un consorzio apposito con il marchio G e l’inconfondibile carta stagnola: misto di capra, naturale in grotta e supercremosa e dolcissima: «Il primo è già di per sé una violazione, perché l’unico latte ammesso è, appunto, quello vaccino e, quindi si è provveduto al sequestro della merce. Del resto, si sono occupati direttamente i forestali di Torino».
Galetta, che a febbraio non si era presentato in tribunale, allegando un certificato medico e non è comparso nemmeno stavolta è di Ceres, un paese della provincia torinese. Il suo avvocato difensore Jolanda Noli ha chiamato due testimoni, che però non hanno chiarito un granché. Corrado Marangoni ha studiato meccanica, è un amico dell’imputato e gli dà una mano ogni tanto, quando c’è una fiera in giro per l’Italia. Ha delle difficoltà economiche e, in qualche maniera, deve barcamenarsi. Non è un esperto di formaggi, di sicuro non ha mai visto un gorgonzola misto di capra. Mentre Leonardo Losso è un cliente fedele, che apprezza in maniera particolare i prodotti messi in vendita dalla Beppe Crin e non se lo perde mai, in occasione delle fiere longaronesi. Passa sempre a dare un’occhiata e a fare qualche assaggio e magari anche qualche acquisto.
Il pubblico ministero ha definito i due testi riluttanti e, poco convinta dalle loro spiegazioni ha chiesto la condanna a sei mesi e 9 mila euro di ammenda. L’avvocato Noli ha cercato di dimostrare che da parte del suo assistito non c’è stata alcuna contraffazione e nemmeno il tentativo d’ingannare il cliente su origine, provenienza e qualità di un prodotto peraltro molto diffuso. Nella sua richiesta, l’assoluzione piena ed, eventualmente, il minimo della pena, le attenuanti generiche e la non menzione. Ma il giudice Coniglio non si è fatta convincere e, dopo diversi minuti di camera di consiglio, ha deciso di condannare l’imputato a sei mesi di reclusione e 6 mila euro, più le spese. Tutto sospeso.



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