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Brindisi, scandalo nell'obitorio sesso nella camera mortuaria

Il Nuovo Quotidiano di Puglia

di Sonia GIOIA
BRINDISI - Sesso no limits: a qualcuno piace nella camera mortuaria. Già, un poco di vita a un palmo dai cadaveri. E’ successo, nell’obitorio del Perrino. E ci sono immagini che lo dimostrano anche se giacciono custodite nella memoria degli investigatori e nel fondo del fondo del segreto istruttorio censurato dalla procura di Brindisi.
Nessuna rilevanza penale, solo uno spreco di doppi sensi che solleticano le pruderie di tutti, e l’indignazione di molti - ma non tutti. La vecchia ipotesi di reato degli atti osceni in luogo pubblico vale solo se gli amanti di turno, qualunque sia l’altare consacrato alla passione, lasciano spazio alla vista altrui.
L’ospedale, o l’obitorio, perfettamente rientrerebbero nella categoria solo se - per intendersi - la coppia spericolata avesse lasciato la porta aperta, dunque esponendo la propria intimità al pubblico. Ma non è accaduto. La porta era chiusa, e con cura, solo che dentro c’erano le telecamere.

La terra trema due volte
 sotto i piedi degli imputati finiti nel mirino del pubblico ministero Giuseppe De Nozza nell’ambito dell’inchiesta battezzata come s’usa da una parte all’altra dell’Italia, il racket del caro estinto. Mercimonio di cadaveri, in sostanza. Secondo l’accusa, tutta da verificare, i dipendenti dell’ospedale segnalavano all’amico-impresario l’ultimo decesso, in cambio di mazzette. Incassando un surplus nel caso in cui fossero disponibili a svestire e vestire il defunto. Il vecchio affare della morte, in sostanza. Diciotto gli imputati, di cui quattro in seno alla azienda sanitaria nostrana, Alessandro Bocchini, responsabile di Medicina legale, e tre Ota (Operatore tecnico addetto all’assistenza) presso la camera mortuaria del Perrino: Rita Laveneziana, considerata vertice della presunta associazione a delinquere, in pensione dal 2008, Mario Faggiano e Antonio Grande. Al fianco dei dipendenti Asl, quattordici impresari di pompe funebri: Teodoro Giustizieri, Marco Giustizieri, Domenico Genco, Caterina Gatto, Maurizio Manfreda, Antonio Pietanza, Giacomo Leo, Daniele Leo, Giuseppe Giustizieri, Alessandro Stasi, Vincenzo Curia, Lorenzo Stabile e Michele Palazzo e Alessandro Bocchini, tutti brindisini, tranne il mesagnese Palazzo, e i sampietrani Curia e Manfreda. 

Si torna in aula il primo ottobre, anche a parlare delle liasions dangereuses venute fuori nel corso delle indagini. Perchè, se non rileva dal punto di vista dell’inchiesta? Semplice, perchè qualcuno dovrà spiegare come mai si tratteneva nell’obitorio ben oltre l’orario di servizio e senza incassare nemmeno un solo centesimo in più in busta paga. Spirito di servizio in surplus? Abnegazione per il mestiere? O quelle urgenze della carne da consumare in fretta, nel luogo che sembrava il più sicuro del mondo, e invece era sorvegliato a vista dal grande fratello?
Lo dirà il sequel del processo, raccontando una pagina di umanità di singolare cinismo. Resta un fatto che, dopo lo svelamento degli amplessi inimmaginabili prima ancora che proibiti, la Asl avviò una inchiesta interna, due dipendenti furono costretti al pre-pensionamento con qualche anno di anticipo sull’orologio biologico e pure quello dell’Inps, e gli altri destinati a diverse mansioni all’interno della stessa azienda. A lavorare sotto i riflettori, costretti al pudore, giocoforza. 

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