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«Contro i roghi bisogna aggiornare il catasto incendi»


La devastazione di una riserva naturale unica, fra le più belle e selvagge della Sicilia è l'ultimo atto di un sistema che mostra drammaticamente le sue falle.
«E' chiaro che qualcosa non funziona - dice l'assessore alla Protezione civile di Nicosia Calogero Lociuro - perché se si arriva a quello che è accaduto su monte Altesina dove con i miei occhi ho visto uno tsunami di fuoco, è un intero sistema che deve essere rivisto dalle fondamenta. Non si può affidare tutto all'encomiabile sforzo degli uomini che spengono le fiamme e spesso rischiano la vita.
Ci vuole una prevenzione che parte dal rispetto delle normative e dalla rigorosa attribuzione delle competenze». Monte Altesina, i suoi pini d'Aleppo e le ginestre, gli sparvieri ed i rarissimi gatti selvatici non ci sono più. Trecento, forse anche 700 ettari devastati, saranno le stime finali a dirlo, come saranno le stime finali a indicare a quante decine di milioni di euro ammontano i danni in tutta la provincia di Enna per una stagione che pur essendo stata peggiore di quelle precedenti, non è certamente un fatto isolato, perché ogni anno vanno in fumo migliaia di ettari di boschi e terreni privati sui quali, malgrado la legge che impone il divieto assoluto di svolgervi per 10 anni qualunque attività umana, dall'edilizia alla pastorizia, dalla caccia alla riconversione delle colture, si continua a costruire, a cacciare ed a esercitare il pascolo. E' un sistema che fa acqua perché di fatto la prima prevenzione che è quella del privato che tutela il proprio bene non funziona.
«Certo anche se può essere impopolare va detto che quando i proprietari sanno potranno continuare a pascolare, realizzare strutture o convertire coltivazioni - dice Francesco Salamone della Cia di Enna - hanno una minore attenzione per la prevenzione obbligatoria, come la pulitura dei margini. Il divieto decennale di qualunque attività sui terreni percorsi da fiamme è disatteso a tutti i livelli, ma questa non è l'unica causa di questa tragedia continua».
In realtà a bloccare qualunque attività dovrebbe essere il "Catasto incendi" nel quale si inseriscono le aree e le particelle colpite dai roghi. Per l'Ennese però, come per altre province siciliane, questo Catasto non è aggiornato e gli ultimi dati inseriti risalirebbero al 2008 - 2009. Così chiunque oggi chiede una licenza edilizia su un'area incendiata negli ultimi 4 anni la ottiene, perché gli Uffici competenti, dagli Utc Comunali al genio civile, dalle soprintendenze agli altri organismi, si collegano telematicamente ai dati del Catasto incendi disponibili presso l'assessorato regionale Territorio e ambiente che non è aggiornato. Per rendersi conto della stortura basta guardare agli edifici, ville, condomini sorti in aree incendiate negli ultimi anni, come anche il calendario venatorio della Regione, che autorizza la caccia anche su vastissime aree che lo scorso anno e questa estate sono state incendiate.
«La ratio di questa norma - prosegue Salamone - è che dove arriva il fuoco si dovrebbe sospendere qualunque attività umana per consentire alla natura di recuperare. Auspico che gli organi competenti attivino controlli più rigidi ed evitare fenomeni speculativi di qualunque genere. Purtroppo si tratta di un fenomeno complesso, non certamente da liquidare con la semplice azione del piromane pazzo e malato. Non funziona la prevenzione, anche quella demandata a Comuni e Province i primi a non ottemperare all'eliminazione delle sterpaglie perfino nei quartieri di città e paesi. Ci sono poi leggi comunitarie calate senza alcuna conoscenza del territorio». Salamone spiega di riferirsi alle normative che hanno vietato agli imprenditori agrozootecnici di bruciare sul posto resti di puliture, potature e diserbo, determinando un insostenibile aggravio dei costi che non fa altro che aumentare, da un lato i fatti illeciti, dall'altro l'abbandono delle campagne.
«La preoccupazione è che se non si inverte la rotta - aggiunge il responsabile provinciale della Cia - la situazione potrà solo peggiorare. Bisogna prendere atto che la popolazione di bovini e ovicaprini è diminuita progressivamente e che continuerà a diminuire perché la zootecnia è una attività che i nostri operatori stanno abbandonando dopo millenni con grande dolore, ma perché non riescono più a sostenere i costi a fronte di un reddito che si assottiglia. Allora bisogna prepararsi a fronteggiare i prossimi anni nei quali avremo decine di ettari di incolti in più, a seguito della normativa europea che concede un contributo appetibile, perché senza alcun costo, per l'imprenditore agricolo che abbandona per 7 anni i terreni coltivati a cereali. Erba al posto di grano da destinare a pascolo. Peccato che senza bestiame quei presunti pascoli diverranno distese di sterpaglie e quindi ulteriori micce».

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