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Boschi ai privati, le leggi che cambiano il verde


Genova - La “green economy” in Liguria passa attraverso boschi e foreste, private e demaniali. Faggete, castagneti, abetaie alberi da fusto che coprono 375 mila ettari, il 70% del territorio regionale. Una ricchezza che in tempi di crisi la Liguria non si sente di abbandonare. Ecco in arrivo due leggi. La prima è già cosa fatta: entro l’estate sarà pronto un bando pubblico per dare in gestione i boschi demaniali alle cooperative sociali, alle imprese agricole e forestali. Nei 7 mila ettari demaniali, costituiti da 13 foreste(due delle quali gestite dai parchi del Beigua e dell’Aveto) entreranno a pieno titolo le aziende private per lo sfruttamento del bosco, del sottobosco, ma con l’obbligo di fare manutenzione ad un patrimonio che si perde a vista d’occhio tra la Francia e la Toscana. La seconda, invece, è una legge ancora in embrione, approvata dalla giunta (ma non ancora approdata in consiglio) per istituire la Banca regionale della terra: chi non può o non vuole prendersi cura dei propri appezzamenti potrà metterli a disposizione di invece può e vuole dedicarsi all’attività agricola e in questo scambio la Regione sarà garante attraverso un fondo con una dotazione di 1,3 milioni affidato a Filse.
La Liguria ha un piede in terra e l’altro in mare. Ma se sul mare negli ultimi decenni si è concentrato lo sviluppo, la terra è stata abbandonata. Nel dopoguerra 150 mila persone vivevano di agricoltura, oggi sono meno di 14 mila mentre crollano i muretti a secco simbolo della fatica del vivere in Liguria e il dissesto idrogeologico travolge boschi abbandonati, terreni incolti. E poi c’è la mano pubblica che non riesce più ad arrivare a fare manutenzione all’immenso patrimonio boschivo. Le conseguenze di questo si sono già viste. Basta tornare con la memoria alle immagini delle alluvioni del 2011 alle Cinque Terre, in Val di Vara, a Genova. Basta leggere l’elenco delle frane che ad ogni piovasco mettono fuori uso le strade dell’entroterra o si abbattono sull’Aurelia. «Vogliamo favorire il recupero produttivo delle aree a vocazione agricola abbandonate» è il manifesto dell’assessore regionale all’agricoltura, Giovanni Barbagallo. In parole povere: riportare l’agricoltura là dove è stata cancellata. Per di più il disegno di legge sulla “banca regionale della terra” «può aiutare - aggiunge Barbagallo - anche ad aumentare la superficie media delle aziende, la costituzione di unità produttive più ampie ed efficienti con enormi conseguenze anche sul piano occupazionale e del reddito».
Da parte delle aziende agricole liguri l'attesa per i due provvedimenti è forte. Sono circa quattrocento (con un totale di oltre mille addetti) le aziende forestali, in parte artigiane e in parte agricole, che attendono il bando per poter partecipare alla gestione delle foreste demaniali. E sono molte di più le aziende agricole che aspettano la conversione del disegno di legge sulla Banca regionale della terra. «Non bisogna innamorarsi delle cose, ma noi pensiamo che questi provvedimenti possano davvero essere utili» sostiene Ivano Moscamora, presidente regionale della Cia, la Confederazione Italiana Agricoltori che in Liguria rappresenta 15 mila aziende. «Si deve verificare la sostenibilità ambientale ed economica delle esperienze che abbiamo davanti, ma secondo noi siamo sulla buona strada» aggiunge Moscamora. Che si prepara a chiedere alla Regione un terzo intervento sull’agricoltura che intreccia la green economy: «Il prossimo passo è chiedere alla Regione una legge sulla filiera dell’energia tra bosco e costa: la tecnologia cresce e con il nostro patrimonio boschivopossiamo pensare ad esempio di riscaldare anche le serre».
Sulla Regione però ci sono già i fucili puntati del Wwf, secondo cui la legge sullo sfruttamento dei boschi demaniali «va contro la Costituzione». E aggiunge: «È assurdo contemplare la possibilità di affidamento del patrimonio forestale di proprietà della Regione ad imprese forestali private». Pubblico e privato non possono stare insieme quando il primo deve assicurare «tutela alla biodiversità, protezione dei beni naturali, difesa del suolo, fruizione controllata da parte della collettività», mentre le altre hanno «esigenze di profitto». Osservazioni che non convincono Barbagallo: «Il bosco in Liguria è cresciuto del 60%negli ultimi 100 anni: non abbiamo il problema di difendere i boschi, ma semmai di riportarli all’agricoltura».
IL SECOLO XIX

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