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Un giorno tra i forzati dei meloni Lavorando a 40° e 5 euro all’ora

Viaggio con la Cgil nelle campagne di Sermide, dove il melone ha fatto la fortuna di molti ma dove non mancano sfruttamento e caporalato. Sveglia quando è ancora notte e alle cinque il primo turno e già al lavoro. La Flai Cgil ha distribuito bottiglie d’acqua e magliette


SERMIDE (Santa Croce). Appuntamento mattutino alle 3.30 davanti al palazzo della Cgil. La Flai, dopo che un lavoratore indiano è crollato nei campi di meloni di Rivalta, ha deciso di vederci chiaro. Lo sfruttamento del lavoro è una realtà subita da molti immigrati che pur di lavorare soccombono a regole da schiavitù. E voci insistenti riferiscono di pagamento di corvé che alimentano il fenomeno del caporalato, molto diffuso al Sud. E così, guidata dal segretario generale Ruggero Nalin, la Federazione si è recata a Sermide, patria del melone. L’obiettivo è prendere atto della situazione sul posto di lavoro e distribuire generi di conforto ai braccianti, gli ’invisibili’ come li chiama Flai. Perché il più delle volte sono lavoratori in nero, inesistenti per lo Stato, inesistenti per la società. A Sermide, il pulmino della Cgil arrivato da Milano è carico di magliette con logo Flai e bottigliette di acqua, offerte da Coop.
Sono le 5 e davanti all’azienda agricola di Naturamica cominciano ad incolonnarsi una fila di auto sgangherate, arrugginite, motorini tenuti in piedi alla bell’e meglio. A quest’ora, per 150 persone circa, inizia la giornata di lavoro; in cielo c’è ancora la luna ma in testa portano già il cappello di paglia che li riparerà dal sole. Sono diffidenti verso chi offre loro l’acqua e non rispondono volentieri alle domande; molti non capiscono l’italiano. Ma poi tornano indietro. Sono tutti uomini tra i 30 e i 50 anni, di origine nordafricana o dell’ Est europeo; sono gentili e si lasciano scappare qualche parola. Lavorano dalle 5.30 a mezzogiorno e dopo una pausa arriva il turno del pomeriggio dalle 16 alle 20. Ma per chi segue il Ramadan non c’è pausa e si continua fino alle 14, sotto il sole cocente, a 40 gradi.
Spiegano che non si trovano male, che almeno c’è lavoro. Per fortuna. Ma quello che non dicono (e che Cgil denuncia) è che del salario registrato in busta paga, spesso rimane ben poco. Molti i casi in cui il lavoratore debba restituire, in contanti, parte dello stipendio versato legalmente: quello che resta sono 4-5 euro l’ora. In altri casi, chi gestisce le cooperative, il caporale, trattiene per sé parte dei compensi. Alle 5.30 per Flai parte il giro delle aziende per farsi un’idea della situazione. I gruppi di lavoranti sono già stati distribuiti sugli appezzamenti secondo l’etnia e indossano tutti la maglietta di Flai; uno di loro si stacca addirittura dal gruppo per offrire un melone. Altrove, il benvenuto al camioncino di Cgil non è stato altrettanto caloroso; nei campi del melone Nadalini il proprietario non ha permesso di avvicinarsi ai braccianti.
Il contatto con questo universo parallelo, così vicino ma al contempo così lontano dalla società, è difficile. L’unica testimonianza completa arriva da Khalil (nome di fantasia ndr), uno dei 5 dipendenti che hanno denunciato lo sfruttamento nei campi. Khalil ha 33 anni ed è arrivato in Italia da Casablanca nel 2007. All’ombra di un chiosco racconta la sua esperienza in una delle aziende sermidesi. «L’unica soluzione è stata raccogliere meloni - spiega Khalil - abbiamo sempre lavorato con impegno fino a quando il padrone ci ha lasciati a casa per assumere altri dipendenti marocchini ma a costo minore, tramite cooperativa». E le condizioni di lavoro? «Non avevamo il permesso di bere e ci minacciavano costantemente di rispedirci a casa - continua Khalil - Non potevamo nemmeno andare in bagno perché il padrone ci portava i wc chimici solo in occasione dell’ispezione della guardia di finanza». Anche un altro ex lavorante, Mohamed, a Sermide da 12 anni, è stato licenziato ed ora non sa più come pagare il mutuo».



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