Visualizzazioni totali

Formazione, a gennaio al via i licenziamenti al Cefop


Entra con il botto il 2013. Sotto i riflettori, tanto per cambiare, il settore della formazione professionale. A gennaio 350 lavoratori dell’Ente di formazione Cefop in Amministrazione straordinaria (As) si ritroveranno senza lavoro. È l’amaro epilogo di una scelta obbligata ed indifferibile per salvare altri 620 lavoratori? Sembra proprio così. Vediamo di capire cosa potrebbe succedere.
LinksiciliaIn una nota dello scorso 28 dicembre i commissari straordinari del Cefop in As hanno comunicato ai sindacati la chiusura della procedura che porterà, dopo il 15 gennaio, al licenziamento di 350 lavoratori. Personale individuato attraverso l’applicazione di una sequela di criteri condivisi con le organizzazioni sindacali. Senza entrare nel merito della scelta dei criteri che non ci appartiene, riteniamo doveroso assecondare la preoccupazione di molti lavoratori che subiranno la tagliola dell’espulsione dal mercato del lavoro.

Intanto va ricordato che il Cefop, Ente senza finalità di lucro, ha operato per oltre trent’anni nella formazione professionale in quanto organismo strumentale della Regione siciliana, in applicazione dell’articolo 4 della legge regionale n. 24 del 6 marzo 1976 e successive modifiche ed integrazioni.Ente che è “incappato”, lo scorso anno, nella dichiarazione di stato di insolvenza da parte del Tribunale di Palermo a seguito di istanza depositata da un gruppo di lavoratori con conseguente attivazione della procedura disciplinata dal Decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (Prodi bis).
Proviamo a ripercorrere sinteticamente gli estremi dello strumento normativo di gestione della crisi delle grandi imprese per capire meglio gli effetti del licenziamento attuato dal Cefop in As.
Il decreto stabilisce che in ogni caso lo scopo dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi è, in primo luogo, la difesa dell’occupazione, la salvaguardia del patrimonio produttivo, avviando lo strumento della riattivazione o della ristrutturazione dell’impresa. Il Decreto legislativo 270/99 modifica, rispetto al passato, innanzitutto i requisiti dimensionali. I lavoratori dipendenti non devono essere inferiori alle duecento unità (inclusi i lavoratori in Cassa integrazione) ed i debiti devono essere pari ad un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi, tanto dell’attivo patrimoniale, tanto dello stato dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell’ultimo esercizio.
L’impresa deve presentare concrete prospettive di recupero da realizzarsi o mediante la “cessione dei complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell’esercizio dell’impresa che prevede una durata non superiore all’anno” o “tramite la ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa sulla base di un programma di risanamento di durata non superiore a due anni”.
A fronte di questi obiettivi esplicitamente dichiarati, vediamo le modalità di funzionamento. Innanzitutto, viene accertato lo stato di insolvenza dell’impresa, ad opera del Tribunale dove l’impresa ha la sua sede principale. È l’imprenditore medesimo, oppure uno o più creditori, nonché d’ufficio che si può presentare l’istanza. Il Tribunale, mentre dichiara lo stato di insolvenza, nomina anche il commissario giudiziale che, in casi di eccezionale rilevanza e complessità della procedura – come è stato per il Cefop – possono arrivare a tre.
Una volta dichiarato lo stato di insolvenza, il commissario deve depositare una relazione riguardante le cause che ne hanno determinato la situazione e, al tempo stesso, deve fornire una valutazione motivata sulla esistenza effettiva delle condizioni di legge per l’ammissione alla procedura. La relazione, che deve essere trasmessa al Ministero, deve contenere lo stato analitico delle attività e l’elenco dei creditori con l’indicazione dei loro crediti. Il Ministero, ricevuta la relazione, esprime il proprio parere sull’ammissibilità dell’impresa in procedura. Il Tribunale dichiara – con decreto motivato – l’apertura della procedura di amministrazione straordinaria, ovvero, se non ricorrono le condizioni, il fallimento dell’impresa. Nel caso in cui sia dichiarata l’apertura della procedura, il Tribunale adotta o conferma i provvedimenti opportuni ai fini della prosecuzione dell’esercizio fino alla nomina del commissario straordinario.
Quali sono i compiti dei commissari nominati? Diciamo subito che la norma è chiara: spetta ai commissari nominati la gestione dell’impresa e l’amministrazione dei beni dell’imprenditore insolvente, svolgendo questi la funzione di pubblici ufficiali. Cruciale è la definizione e l’esecuzione del programma che i commissari straordinari devono presentare al Ministro.
Questo programma, perseguendo l’equilibrio economico dell’impresa, si può realizzare o con la cessione dei beni aziendali o con la ristrutturazione. Il programma deve contenere l’indicazione delle attività che si intendono proseguire e di quelle che si intendono dismettere, le eventuali alienazioni dei beni non funzionali all’impresa, come provvedere alla copertura del fabbisogno finanziario e se si pensa di utilizzare risorse pubbliche. Se si intraprende la strada della cessione dei complessi aziendali, vanno anche indicate le modalità che si intendono adottare e le eventuali offerte pervenute. Se si sceglie la ristrutturazione, il programma dovrà contenere le previsioni di ricapitalizzazione dell’impresa, le modalità di soddisfazione dei creditori, i tempi necessari a tale soddisfacimento nonché le variazioni degli assetti imprenditoriali.
Una volta definito il programma il ministero autorizza la sua esecuzione. L’acquirente che acquista un’azienda, o rami di essa in esercizio è obbligato a mantenere per almeno un biennio le attività imprenditoriali ed i livelli occupazionali stabiliti dall’atto di vendita. Ora, tutto questo è stato realizzato dai tre commissari con professionalità e senso di responsabilità.
Ciò che ci preme evidenziare è se esistano rimedi al licenziamento. E lo facciamo nel rispetto del diritto di informazione, spinti dalle sollecitazioni di diversi lavoratori. Cominciamo col dire che si è giunti al licenziamento attraverso l’applicazione della procedura prevista dalla legge n. 223 del 23 luglio 1991. Si tratta della cosiddetta “mobilità esterna” al settore della formazione professionale, eseguita in virtù di un esame congiunto con le rappresentanze dei lavoratori. Precisiamo che il nostro non vuole essere un appunto alla procedura adottata, della cui correttezza non possiamo che riportarne l’intero procedimento, ma alla stessa opportunità di perseguirla.
In Sicilia il sistema formativo è regolamentato da un quadro normativo regionale che garantisce la continuità occupazionale e lavorativa. Previsione introdotta dall’articolo 2 della legge regionale 25 del 1° settembre 1993. Rafforzata a sua volta dal recepimento dell’intesa trilaterale Regione siciliana, associazioni degli enti formativi e organizzazioni sindacali, in attuazione di quanto contenuto negli articoli 17 e 26 del contratto collettivo di lavoro (Ccnl) 1994 – 1997. Accordo che sancisce la mobilità del personale dipendente all’interno del sistema regionale di formazione professionale. Lo stesso prevede infatti che “a salvaguardia dei livelli occupazionali la mobilità si attui attraverso l’istituzione di tavoli trilaterali regionali anche tra strutture operative degli enti e strutture operative della Regione e degli enti delegati, mediante accordi.
Alla contrattazione regionale è demandata la definizione di criteri, modalità e priorità per il reinserimento del personale in mobilità, che mantiene il diritto al posto di lavoro, la posizione giuridica ed economica, nonché il reinserimento in altro Ente formativo o in altra struttura regionale”. Disciplina richiamata chiaramente anche nell’allegato 12 del vigente contratto collettivo di lavoro di settore. E allora,prescindendo dal futuro del Cefop, cessione dei rami di azienda o prosecuzione, perché a pagare devono essere sempre i lavoratori?
L’operazione garantisce 620 dipendenti sacrificandone 350. Può essere un risultato positivo, ma non è proprio possibile salvare gli altri? Sull’opportunità della procedura applicata, la 223/91, riportiamo le perplessità di tanti osservatori. Ragionamento che fonda le basi sul riconoscimento della validità ad oggi delle norme regionali di settore che presentano condizioni di maggiore vantaggio per i lavoratori. E allora perché non provare ad avviare con effetto immediato il “Piano Barca” che consentirebbe di lanciare un progetto di riqualificazione del personale licenziato? E non solo. L’introduzione della misura di prepensionamento di quei lavoratori (stimati in almeno un migliaio) in possesso del requisito di accesso, libererebbe spazi in altri Enti formativi per il ricollocamento di larga parte dei licenziati. È chiaro che il ragionamento non afferisce solamente ai 350 espulsi dal Cefop in As, ma andrebbe esteso ai 173 licenziati dall’Anfe e agli altri già espulsi da Aram e Ancol.
Ristrutturare il sistema formativo si può e si deve per mantenere i livelli occupazionali e qualificare la spesa nel settore. È necessario però che, con capacità operativa, il Governo regionale ponga in essere quanto necessario per riorganizzare il settore intorno agli strumenti in atto disponibili. Più volte il presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, ha dichiarato l’intento di salvaguardare i lavoratori. E allora perché non affiancare a un processo di ristrutturazione degli enti formativi -finanziato dal Piano Barca – una agenzia regionale che governi la platea dei lavoratori assunti a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2008 dagli Enti formativi siciliani? E se poli formativi dovranno nascere in Sicilia auspichiamo che lo sbarramento non sia inferiore alle 25 mila ore formative. Se tutto deve avere un senso, allora le azioni devono rispondere a criteri di equità ed etica e non strettamente politico-clientelare.
L’assessore regionale per l’Istruzione e la Formazione professionale, Nelli Scilabra farebbe bene, a nostro avviso, a superare la fase della “caccia alle streghe” e intraprendere il più difficile percorso della riorganizzazione del sistema formativo. È su questo campo che si può vincere la scommessa sociale.

0 commenti:

Blogger Template by Clairvo