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Formazione in Sicilia: il 2012 si chiude con mille licenziamenti


LinksiciliaBasta con i licenziamenti del personale della formazione professionale. È il momento di fare chiarezza nel settore ostaggio, per troppo tempo, di una parte della politica che ha scambiato la gestione della cosa pubblica con il servilismo ed il clientelismo. Invece, il diritto ad accedere a percorsi formativi appartiene al cittadino siciliano come ad ogni altro cittadino italiano. Quello dell’istruzione e della formazione lungo tutto l’arco della vita (long life learning) è un diritto sacrosanto non negoziabile e che va salvaguardato.

Sono oltre mille, in Sicilia, i lavoratori colpiti da provvedimenti di espulsione dal sistema formativo regionale. E questo proprio non va. Un processo traumatico per l’impatto sociale che rischia di passare inosservato, nel disinteresse di larga parte della politica e delle parti sociali. Uno scenario inimmaginabile fino a 2 anni fa ed improponibile. Eppure è accaduto con disarmante semplicità. E lo diciamo per diverse ragioni che proviamo ad esporre, nel tentativo di far ragionare coloro che hanno l’autorità necessaria ad arrestare un’insopportabile disapplicazione del quadro normativo regionale.
Prima di passare in rassegna il voluminoso corpus normativo che traccia un quadro chiaro circa i rapporti tra Regione, Enti gestori e personale, intendiamo fare una precisazione. Il nostro intento, attraverso il presente articolo, vuole essere solo quello di sensibilizzare il presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, a prendere in mano il destino del settore formativo e ricondurlo nella direzione corretta. E l’unica via percorribile è quella della centralità del servizio pubblico erogato dalla Regione attraverso gli Enti abilitati a gestire la formazione professionale, in quanto senza finalità di lucro e legati da un rapporto strumentale. Un vero e proprio vincolo di mandato con l’obbligo, per l’Ente, di presentare una minuziosa rendicontazione delle spese effettuate in virtù di un finanziamento pubblico assegnato. A sostegno del ragionamento, due sentenze della Corte di Cassazione: la n.10963 del 1991 e la n.2668 del 1993.
Veniamo, ora, all’analisi del complesso sistema normativo che rappresenta l’architrave dell’intero intervento della Regione nel campo della formazione professionale. La legge regionale 24 del 6 marzo 1976 regola, da oltre 36 anni, il rapporto di sovvenzione tra la Regione siciliana e gli Enti gestori. A questa ne sono succedute altre, tutte tese a sancire la centralità di un principio inequivocabile e non diversamente interpretabile: la garanzia della continuità lavorativa e il riconoscimento del trattamento economico e normativo previsto dal Contratto collettivo di lavoro (Ccnl) agli operatori della formazione professionale. Tale principio è sancito in modo chiaro dalla legge regionale n.25 del 1° settembre 1993, il cui precetto normativo è vincolante per l’amministrazione regionale. Per gli Enti gestori tale vincolo è già stato determinato dalla decentrata e dal Contratto collettivo di lavoro di categoria, che è legge tra le parti.
Peraltro, il ruolo delle Regioni nell’ambito della contrattazione collettiva è di primo piano. E lo è sia a livello nazionale per l’interlocuzione, sia regionale. Attraverso la contrattazione decentrata, la presa d’atto e l’accettazione dei Ccnl di settore da parte del governo e dell’assessore al ramo, l’amministrazione regionale esplica infatti un ruolo centrale. E ancora. Il Legislatore regionale ha operato più volte, negli anni, per garantire il personale addetto alla formazione, iscritto all’Albo di cui all’articolo 14 della legge regionale n.24/76.
Successivamente, la legge regionale n.12 del 22 aprile 1987 ha autorizzato l’assessore regionale al ramo a finanziare progetti di formazione professionale appositamente elaborati per consentire la realizzazione di attività di riqualificazione e di aggiornamento del personale dell’Ente nazionale per l’istruzione professionale del mezzogiorno (Enipmi). Tale misura si era resa necessaria per garantire la permanenza nel settore della formazione professionale proprio del personale con rapporto a tempo indeterminato dell’Enipmi.
Con l’articolo 16, comma 4, della legge 15 maggio 1991, n.27, il Legislatore regionale ha sancito l’estensione delle disposizioni contenute nella legge regionale n.12/87 a tutto il personale dipendente degli Enti formativi con contratto di lavoro a tempo indeterminato. In seguito, con l’articolo 2, comma 1, della legge n.1 del 1° settembre 1993, n.25, la Regione siciliana, al fine di garantire continuità giuridica ed economica a tutto il personale a tempo indeterminato inserito nell’Albo regionale, ha rafforzato il principio del mantenimento del posto di lavoro.
Non solo. Con l’art. 2 della legge regionale 7 maggio 1996, n. 31 l’assessore regionale al ramo è stato autorizzato ad attuare, in favore dei lavoratori rimasti privi di incarico, i processi di mobilità previsti dal Ccnl degli operatori della formazione professionale. Sottolineiamo che il Legislatore regionale, con quest’ultimo articolo -che ha superato il vaglio della Corte Costituzionale – fa esplicito riferimento, dando valore di legge, ai processi di mobilità previsti dal Ccnl. È lo stesso articolo 27 del contratto collettivo a contemplare procedure di mobilità del personale che, anche ai fini di salvaguardia dell’occupazione, ne prevedono l’impiego presso strutture pubbliche.
Con l’articolo 17 della legge regionale del 26 novembre 2000, n. 24 viene stabilito al secondo comma che: “nell’ambito delle attività finanziate con il piano annuale il personale” a tempo indeterminato garantito dall’art.2 della legge regionale 1 settembre 1993, n.25, così come integrato dall’art.2 della legge regionale 7 maggio 1996, n.31 e dall’articolo 48, comma 2, della legge regionale 27 aprile 1999, n.10, “può essere utilizzato in attività di aggiornamento, riqualificazione e di politica attiva”.
Successivamente, al fine di rendere più cogente e chiaro il regime di garanzia pubblica regionale di continuità del rapporto di lavoro del personale a tempo indeterminato della legge regionale 24/76, la Regione siciliana è intervenuta con l’art. 39 della legge regionale 23 dicembre 2002, n. 23. In tale articolo, al comma 3, si legge che per il finanziamento del personale gli Enti sono obbligati ad aprire un apposito conto da utilizzare esclusivamente per tale voce e sul qualevengono accreditate dalla Regione le risorse necessarie alla copertura integrale della stessa. Dalla lettura di tale normativa si evince con chiarezza come il rapporto tra Regione ed ente è legato dal vincolo della sovvenzione attraverso finanziamenti regionali erogati direttamente dall’amministrazione regionale. Quindi gli Enti non possono produrre un utile e sostenere il rischio d’impresa.
L’avere autorizzato, il precedente governo regionale guidato da Raffaele Lombardo nella veste di presidente della Regione, da Ludovico Albert in quella di dirigente generale al ramo e dall’assessore regionale dell’epoca, Mario Centorrino (LAC), il passaggio alla convenzione ha comportato una concorrenza sleale con società di capitali e la violazione dell’articolo 39 della legge regionale n.23/2002, con la conseguente messa in mobilità di parte del personale degli Enti storici no profit penalizzati dal parametro unico introdotto con l’Avviso 20/2011.
Il recente sistema di licenziamenti incontrollati è figlio della riforma targata LAC che, a colpi di atti amministrativi, ha tentato di snaturare il sistema che ha garantito negli anni il diritto a una buona formazione professionale per tutti. La legge regionale n. 24 del 1976 va attualizzata per restituire efficacia e lustro all’impianto normativo regionale, affinché garantisca il giusto equilibrio tra finalità istituzionali della Regione siciliana e la soddisfazione del bisogno formativo. Attualizzare la legge regionale n. 24 del 1976 significa anche arrestare di colpo i licenziamenti. I lavoratori oggetto di espulsione dal mercato del lavoro potrebbero essere avviati a percorsi di aggiornamento o riqualificazione professionale per il successivo reinserimento, anche sfruttando le risorse finanziarie messe a disposizione attraverso il “Piano Barca”.
L’amministrazione regionale apparsa fino a ieri come “nemico” dovrebbe riappropriarsi della funzione propria per restituire chiarezza normativa al settore della formazione professionale.

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